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L'improcedibilità arriva in cassazione

Dopo tante ed interessanti decisioni di merito, la mediazione arriva in Cassazione: una recentissima ordinanza del giudice di legittimità analizza una fattispecie di supposta improcedibilità.
La controversia nasce a causa di una mancata restituzione di un deposito cauzionale versato per un contratto di locazione, per il quale le conduttrici ottennero un decreto ingiuntivo nei confronti della locatrice.

L’ingiunta propose opposizione e contestuale domanda riconvenzionale per ottenere un risarcimento per danni arrecati all’interno dell’immobile ed il rimborso di oneri accessori insoluti.
Il Giudice di primo grado, rigettò l’opposizione e la locatrice, in sede di gravame, ottenne una parziale riforma della sentenza concretizzata nella revoca del decreto ingiuntivo ed una condanna delle opposte al pagamento di un importo in favore dell’opponente.
A tale decisione, le due conduttrici sono ricorse in Cassazione lamentando, in uno dei due motivi, la censura del gravame per improcedibilità della domanda giudiziale prima dell’esperimento del procedimento di mediazione.
Si giunge a tale richiesta, perché in sede di appello le ricorrenti si sono costituite in detto giudizio solo all’udienza ex art. 420 c.p.c. e quindi tardivamente eccependo la mancata attivazione del procedimento di mediazione ex art. 5 comma 1 D.Lgs. 28/2010.
In realtà, il giudice ha assegnato il termine per iniziare detto procedimento che ha dato esito negativo, quindi il giudizio è proseguito. La locatrice ha proposto appello sostenendo che i documenti a sostegno della domanda delle conduttrici sono da ritenersi non ammessi a causa della loro costituzione tardiva e la Corte d’Appello ha accolto tale tesi che, a sua volta, viene fatta propria dalla S.C..
Pertanto, a nulla vale la censura delle ricorrenti che hanno sostenuto l’improcedibilità della domanda giudiziale prima dell’esperimento della domanda e quindi ciò comporterebbe che le preclusioni processuali non potrebbero maturare fino a che la mediazione non si svolga in concreto.
Nel caso di specie, sostiene la corte di appello, la mediazione costituisce condizione di procedibilità e non di proponibilità della domanda e che in mancanza di una sua attivazione prodromica al giudizio, ai sensi dell’art. 5 comma 1, il giudice opera un semplice rinvio della successiva udienza, che a sua volta, comporta un semplice differimento delle attività da svolgersi nel giudizio pendente, restando quindi ferme le decadenze già verificatesi.
Se il legislatore avesse inteso la tesi delle ricorrenti, sarebbe stata prevista la semplice dichiarazione di improcedibilità della domanda. Inoltre, prosegue il giudice di legittimità, la disposizione invocata (art. 5 comma 1) è stata dichiarata incostituzionale e quindi non applicabile nel giudizio de quo, né tantomeno quella vigente rappresentata dall’art. 5 comma 1 bis, in applicazione del principio generale Tempus regit actum ( quest’ultimo supportato dall’art. 84, comma 2, del decreto legge 21 giugno 2013 n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013 n. 98). Quindi in base a tale ragionamento, la S.C. ha ritenuto il giudizio non soggetto alla condizione di procedibilità dell’esperimento del procedimento di mediazione.



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A cura del Responsabile Scientifico Concilia Lex Avv. Pietro Elia

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