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Inammissibile la Costituzione in giudizio da parte di un Avvocato dipendente della Regione Campania che assume la difesa delle aziende sanitarie locali

Si porta a conoscenza che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 91 del 2013 ha dichiarato l’ illegittimità costituzionale dell’ art 29, comma 1 e 2 della Legge della Regione Campania del 19 Gennaio 2009.

E’ inammissibile quindi la costituzione in giudizio da parte di un Avvocato dipendente della Regione Campania, che assume la difesa dell’ ASL, in quanto contrasta con l’ art.117, terzo co. Cost.
“Gli Avvocati dipendenti possono patrocinare per l’ Ente di appartanenza e solo per esso”

Importante la sentenza della Corte Costituzionale per gli Avvocati che agiscono nei confronti delle Asl per il recupero dei crediti; La Corte Costituzionale ha pronunciato con la sentenza n. 91 del 2013 ,l’ illegittimità costituzionale dell’ articolo 29, commi 1 e 2, della legge della Regione Campania 19 gennaio 2009, n. 1 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale della Regione Campania – legge finanziaria anno 2009). Con ordinanza del 12 luglio 2011 il Tribunale amministrativo regionale per la Campania (sezione terza), ha sollevato, in riferimento all’ art. 117, terzo comma, della Costituzione, in relazione alla materia «professioni», questione di legittimità costituzionale dell’ articolo 29 della legge della Regione Campania 19 gennaio 2009, n. 1, che abilita l’ avvocatura regionale a svolgere attività di consulenza e a patrocinare in giudizio gli enti strumentali della Regione e le società il cui capitale è interamente sottoscritto dalla Regione e, allo scopo, consente la stipula di convenzioni tra la Giunta regionale da un lato, e gli enti strumentali e le singole società dall’ altro, per regolare, in particolare, le modalità attraverso cui può essere richiesta l’ attività dell’ avvocatura regionale, quantificando anche i relativi oneri.
Il giudizio a quo, ha ad oggetto la richiesta di annullamento della delibera della Giunta della Regione Campania con cui l’ avvocatura regionale è stata autorizzata a stipulare con gli enti strumentali della Regione Campania e la Convenzione n. 14162 del 10 aprile 2009, stipulata dall’ avvocatura e dall’ Azienda sanitaria locale di Salerno sulla base della predetta delibera giuntale, e ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale.
In base alla delibera giuntale, agli avvocati regionali potrebbe essere affidato il patrocinio e la consulenza legale delle Aziende sanitarie. Questa previsione contrasterebbe con il regime delle incompatibilità nell’ esercizio della professione di avvocato, stabilito dall’ art. 3, secondo comma, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, e successivamente modificato dalla legge 23 novembre 1939, n. 1949 (Modificazioni alla legge forense), che conterrebbe una deroga, al successivo quarto comma, lettera b), per quanto riguarda gli avvocati degli uffici legali degli enti pubblici, solo per le cause e gli affari propri dell’ ente presso il quale prestano la loro opera e a condizione che essi siano iscritti nell’ elenco speciale annesso agli albi professionali.
Secondo gli intervenienti, la legislazione regionale censurata si ingerirebbe nelle competenze esclusive dello Stato, disarticolando l’ ordinamento delle professioni che dovrebbe invece necessariamente essere uniforme su base nazionale, incidendo sul rito processuale e assimilando il rapporto di patrocinio a quello di una prestazione d’ opera professionale. In particolare, la legislazione regionale interferirebbe con i principi fondamentali in materia di professione forense, avviando una invasione delle competenze statali destinata ad accrescersi nel tempo.
L’ applicazione della legge regionale impugnata potrebbe dar luogo a una responsabilità disciplinare a carico dei legali ricorrenti nel processo a quo. Il relativo codice deontologico, approvato dal Consiglio nazionale forense,dispone che gli avvocati evitino situazioni d’ incompatibilità (art. 16), mantengano un’ autonomia del rapporto con la parte assistita (art. 36), si astengano nel caso di conflitto d’ interessi (37) e possano assumere incarichi contro ex-clienti soltanto una volta decorso un biennio dalla cessazione del rapporto professionale espletato in precedenza (art. 51). La situazione nella quale l’ avvocatura regionale si sarebbe venuta a trovare a causa della legge impugnata renderebbe, al contrario, impossibile osservare i menzionati divieti del codice deontologico.

La materia delle professioni appartiene alla legislazione concorrente, ex art. 117, terzo comma, Cost., e aggiungono che il decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 30 (Ricognizione dei principi fondamentali in materia di professioni, ai sensi dell’ articolo 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131), avrebbe previsto, all’ art. 3, che l’ esercizio di ciascuna professione si svolga nel rispetto della disciplina statale posta a tutela della concorrenza e, all’ art. 4, comma 2, che sia la legge statale a definire i requisiti tecnico-professionali e i titoli professionali necessari a esercitare le attività che esigono una specifica preparazione, a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela appartiene allo Stato. Le Regioni, anche in ossequio ai principi della giurisprudenza costituzionale, potrebbero disciplinare solo gli aspetti legati alla realtà regionale.
Il divieto inderogabile rivolto agli avvocati degli enti pubblici di espletare prestazioni professionali per enti diversi da quelli da cui dipendono, rappresenterebbe un requisito tecnico di iscrizione all’ albo, comportando, in caso di violazione, la cancellazione dell’ avvocato dall’ albo e di conseguenza anche la cessazione del rapporto lavorativo, il quale si reggerebbe sul presupposto dell’ abilitazione all’ esercizio della professione forense..
La disposizione regionale censurata contrasterebbe con l’ art. 3, secondo comma, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, e successivamente modificato dalla legge 23 novembre 1939, n. 1949 (Modificazioni alla legge forense), che prevede l’ incompatibilità dell’ esercizio della professione di avvocato con qualunque impiego o ufficio retribuito a carico del bilancio dello Stato o degli enti pubblici, stabilendo un principio derogabile, per quanto riguarda gli avvocati degli uffici legali di tali enti, solo per le cause e gli affari propri dell’ ente presso il quale i professionisti prestano la loro opera e a condizione che siano iscritti nell’ elenco speciale annesso agli albi professionali, ai sensi del medesimo art. 3, quarto comma, lettera La norma regionale censurata, secondo l’ ordinanza di rimessione, estenderebbe illegittimamente le ipotesi di deroga alle incompatibilità previste dal legislatore statale, consentendo all’ avvocatura regionale di svolgere attività di consulenza e di patrocinare in giudizio per enti diversi da quello d’ appartenenza, dunque al di fuori di quanto consentito dalla normativa statale. Detta disposizione regionale, pertanto, violerebbe l’ art. 117, terzo comma, Cost., che affida alla competenza legislativa statale la determinazione dei principi fondamentali in materia di professioni, tra cui rientrerebbe il menzionato art. 3 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933.
La disciplina delle incompatibilità della professione forense è oggetto di legislazione statale sin dall’ art. 3, secondo comma, del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, che prevede che l’ esercizio della professione di avvocato «è incompatibile con qualunque impiego o ufficio retribuito con stipendio sul bilancio dello Stato […] ed in generale di qualsiasi altra Amministrazione o istituzione pubblica». Tale rigoroso regime di incompatibilità è derogabile, per quanto riguarda gli avvocati afferenti agli uffici legali degli enti pubblici, solo «per quanto concerne le cause e gli affari propri dell’ ente presso il quale prestano la loro opera» e a condizione che siano iscritti nell’ elenco speciale annesso agli albi professionali, secondo quanto stabilito dall’ art. 3, quarto comma, lettera b), del medesimo regio decreto-legge n. 1578 del 1933.
In forza dei suddetti vincoli interpretativi si è reputato, tra l’ altro, che gli avvocati dipendenti da enti pubblici siano tenuti a svolgere attività professionale solo in relazione agli affari propri dell’ ente presso il quale prestano la loro opera, non essendo consentito ritenere “propri” dell’ ente pubblico datore di lavoro le cause e gli affari di un ente diverso, dotato di distinta soggettività.

Sul piano giurisprudenziale è intervenuto il legislatore statale che, ridisciplinando la professione forense con la legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ ordinamento della professione forense), ha anzitutto ribadito il regime d’ incompatibilità della professione d’ avvocato con qualsiasi attività di lavoro subordinato, anche se con orario limitato (art. 18, comma 1, lettera d), e ha poi precisato le condizioni nel rispetto delle quali, in deroga al principio generale di incompatibilità, è consentito agli avvocati degli uffici legali istituiti presso gli enti pubblici svolgere attività professionale per conto dell’ ente di cui sono dipendenti (artt. 19 e 23). Per quanto rileva nell’ ambito del presente giudizio, gli avvocati dipendenti di enti pubblici sono abilitati alla «trattazione degli affari legali dell’ ente stesso», a condizione che siano incardinati in un ufficio legale stabilmente costituito e siano incaricati in forma esclusiva dello svolgimento di tali funzioni.

La normativa regionale censurata, consentendo agli avvocati regionali di svolgere attività di patrocinio in giudizio e di consulenza anche a favore di enti strumentali della Regione e di società il cui capitale sociale è interamente sottoscritto dalla Regione, amplia la deroga al principio di incompatibilità, prevista dal legislatore statale esclusivamente in riferimento agli affari legali propri dell’ ente pubblico di appartenenza, e pertanto si pone in contrasto con l’ art. 117, terzo comma, Cost.

In conclusione gli avvocati dipendenti possono patrocinare per l’ ente di appartenenza – e solo per esso – e la norma non è suscettibile di estensione da parte del legislatore regionale, ma rientra nell’ ambito dei principi fondamentali della materia delle professioni, affidato alla competenza del legislatore statale; Quindi saranno inammissibili in giudizio le costituzioni da parte di un Avvocato dipendete della Regione.

Studio Legale Cavallaro & Partners
Avvocato in Nocera Inferiore (SA)
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