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Il ruolo dell'avvocato in mediazione

Il tema è delicato, soprattutto per un fattore culturale e di paura del nuovo in un Paese vecchio, conservatore e quindi refrattario alle novità qual è l’Italia. Credo che non ci siano precedenti simili in tutto il mondo per come la classe forense italiana, in questi anni, si sia opposto ad una norma dello Stato, pur essendo un operatore del diritto, ma fa ancor più specie un inspiegabile resistenza verso un istituto che vuole dare un contributo per risollevare le sorti di un Sistema Giustizia italiano alle corde impotente e che non riesce a dare le risposte di cui ha bisogno il cittadino.

In realtà le cause sono molteplici e sono principalmente di carattere culturale e quindi formativo. Nelle facoltà giuridiche (ora molto meno per fortuna) passa il messaggio fuorviante che l’unico metodo risolutivo del conflitto sia il processo, ma in realtà così non è. Per vincere questa legittima resistenza le ADR, devono e dovranno avere una propria ed autonoma dignità scientifica ben distante dal contesto processuale..

Si tratta di un cammino lungo e tortuoso che ha bisogno di un necessario processo di metabolizzazione affinchè passi un’idea di Giustizia nuovo disancorata dall’ormai sorpassata concezione di monopoli della giurisdizione ordinaria e quindi abbiamo l’obbligo di realizzare una pluralità di metodi di risoluzione adatti a seconda la tipologia di conflitto e non di esportare chissà dove il contenzioso civile cercando erroneamente di processualizzare un istituto che processuale non è e si pone in antitesi a ciò che è eterenomo in quanto espressione di autonomia.

Questo contesto innovativo, comporta un mutamento del ruolo degli operatori del diritto, ma soprattutto dell’avvocato non più esclusivamente ancorato al settore giudiziario e chiamato ad essere prima di tutto professionista della prevenzione, costruttore di relazioni che possano funzionare tra le parti; e poi, professionista capace di associare al conflitto il suo rimedio, sempre più promotore di una giustizia anche senza processo. E' richiesto un cambiamento culturale difficile, tanto che la formazione degli avvocati, mediatori di diritto, dovrebbe essere particolarmente curata sotto il profilo della mediazione: questa presuppone di ridare la parola alle parti, mentre il sistema giudiziario è un sistema che disattiva le parti, magari a fini protettivi.

Quindi le persone, assistite (e non difese) da avvocati debitamente formati,vanno dunque rimesse al centro della giustizia: sicuramente in quella consensuale rappresentata dalla mediazione, dove si valorizza la capacità delle parti di essere autrici del percorso di soluzione del conflitto e non convitate di pietra. Se di tutto ciò l’avvocatura avrà contezza, ci sarà l’opportunità di “occupare” una nuova fetta di mercato e la possibilità di offrire un servizio più esaustivo ed efficiente al cliente. Quindi la parola d’ordine è cambiamento: l’avvocatura è ad un bivio delicatissimo e non può permettersi di rimanere impantanato nelle sabbie mobili di una figura sorpassata di avvocato dedito esclusivamente alla iurisdictio.

A cura Responsabile Scientifico Concilia Lex S.p.A. Avv. Pietro Elia

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